Percorso nell'arte

PERCORSO NELL'ARTE

Furono i Conti veneziani Nicolò e Luigi Donà dalle Rose ad impegnarsi nel 1964 a creare il porto e il villaggio. Quasi tutto fu costruito in modo spontaneo, seguendo l'ispirazione e l'estro del momento guardando alla qualità. L'idea dei due fratelli era che Porto Rotondo potesse diventare un "milieu" di artisti e di intellettuali, ed i primi a rispondere all'invito furono gli scultori Andrea Cascella e Giancarlo Sangregorio.
Il primo creò il punto di incontro dei villeggianti: Piazzetta San Marco. Il secondo realizzò invece la piazzetta della darsena dei pescatori "Vecchia Darsena". Ventotto maestri scalpellini galluresi lavorarono il granito che servì ad Andrea Cascella per dare forma alla piazza, alla scalinata , alla facciata della Chiesa di San Lorenzo, alla sua croce megalitica e all'altare. La Chiesa di San Lorenzo rimase vuota per poco tempo, come l'aveva fatta Andrea Cascella, finché venne chiamato il giovane scultore Mario Ceroli, che ne impreziosì gli interni con le sue magiche sculture lignee; per chiudere il cerchio, allo stesso Ceroli fu commissionato il Teatro.
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L'idea iniziale è stata rilanciata di recente con la nascita della Fondazione Porto Rotondo, che sta portando a compimento il grande lavoro artistico iniziato 45 anni fa. Nel 2007 viene realizzato il mosaico di via del Molo, la ormai famosa "catena alimentare", opera dell'artista bretone Emmanuel Chapalain.
LA VECCHIA DARSENA
È il 1967. Giancarlo Sangregorio (1925-2013), milanese, scolpisce pietra dopo pietra in un piccolo fiordo proveniente dal porto, quella che oggi è l’omonima piazza, nata come “la vecchia darsena”. Un affaccio sul mare disegnato da una ampia gradinata che suggerisce onde quiete e degradanti realizzate e delimitate da scuri cordoli in basalto e granito, lineari e insieme morbidi. «È come quando butti un sasso a mare e si formano gli anelli, concentrici, sempre più larghi», amava ripetere un anziano pescatore.

LUOGHI DA VISITARE

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Ogni pietra, in questo angolo di Porto Rotondo, ha una sua precisa ragion d’essere: basta osservare la scultura della balconata, che delimita dal lato destro la discesa a mare.
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Apparentemente un susseguirsi di massi in granito casualmente accostati di mezze colonne, blocchi rettangolari, travi che ricordano i dolmen nuragici, in realtà una sfilata di simboli del divenire architettonico dell’uomo. Alla sinistra della scalinata una materica scultura del medesimo artista.
PIAZZA SAN MARCO
Progettata dallo scultore Andrea Cascella (1919-1990), vincitore della mitica Biennale di Venezia del 1964, fucina del rilancio dell’arte contemporanea mondiale, la piazza di Porto Rotondo è insieme raccolta e imponente con la sua pavimentazione rigorosamente semplice. Continuando una tradizione centenaria i maestri scalpellini sardi attivi cinquant’anni fa hanno meticolosamente tagliate e lavorate le pietre che provenivano da cave adiacenti già utilizzate ai tempi dei Romani. I blocchetti di forma troco-conica creano un armonico effetto a spirale concentrica che si risolve in una grande pietra rotonda (caratterizzante del Cascella del tempo) volutamente decentrata coinvolgendoli in un vortice.
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Il progetto tecnico della piazza San Marco è dell’architetto milanese Vittorio Gregotti. Questo il suo ricordo: «Con Andrea Cascella prendemmo il traghetto per Olbia. La Porto Rotondo di oggi ancora non esisteva, il nome evocava solo la rotondità perfetta del piccolo porto con l’acqua cristallina.
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Da lì nacque l’idea che la piazza dovesse ispirarsi a questa forma: sarebbe stata rotonda, leggermente degradante e, in fondo ma non perfettamente al centro, Andrea avrebbe realizzato una scultura. L’idea era che il tutto assomigliasse a un piccolo catino con un tappo».
CHIESA DI SAN LORENZO
Ideata da Andrea Cascella e Mario Ceroli, la chiesa di PortoRotondo è dedicata a San Lorenzo, cui portava il nome anche il padre Donà dalle Rose. Collocata in cima a una maestosa scalinata di granito che parte dalla piazza San Marco, la chiesa è ben visibile da chi viene dal mare ma fu Andrea Cascella a volere che il tempio di Porto Rotondo, simbolo di sacralità e insieme di vivere civile, fosse incastonato tra le case del villaggio come si usa a Venezia, e non isolato in uno spazio forse più scenografico come si era pensato all’inizio.
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I lavori iniziarono nel 1967, e fu col granito pietra di Sardegna per eccellenza che sempre Cascella volle plasmare la sua chiesa. La creò alta, svettante, dalla facciata lineare e insieme curvilinea, con un bordo “azzurro madonna” e una grande fessura che guarda a nordovest, da dove soffia il maestrale.
In granito sono anche la croce megalitica, antistante l’ingresso, formata da due grosse macine intersecate tra loro e l’altare simboleggianti la macina che trasforma il grano in pane. Il portale creato a forma di croce unendo mille lastre di vetro smentisce chi pensa sia un materiale fragile.
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Il soffitto della chiesa è a carena rovesciata. Entrando, sulla parete di destra conseguente la scala di Giacobbe, quella che conduce in paradiso, “l’ultima cena” (notate la testa girata di Giuda e il sottostante scranno ricoperto di cuspidi).
Sul soffitto una drammatica e complessa rappresentazione del “giudizio Universale” si mescolano per unirsi in un beneaugurale volo di colombe. Sulla parete di sinistra la “Fuga in Egitto” che ha come protagonisti del passato e del futuro le generazioni della famiglia Donà, l’albero della vita e l’arcobaleno rappresentano gli elementi fondamentali dell’universo. Al di sopra del tabernacolo multicolore di marmi di Carrara, “la Deposizione” ricoperta di foglia oro che ci riporta al fondo oro dei maestri del ‘300 e ‘400 italiano.
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Sulla parete di sinistra la “Fuga in Egitto” che ha come protagonisti del passato e del futuro le generazioni della famiglia Donà, l’albero della vita e l’arcobaleno rappresentano gli elementi fondamentali dell’universo.
Di ultima realizzazione è l’onda della cantoria intitolata al Maestrale, vento dominante della Sardegna. Nel 2008 la Chiesa di Porto Rotondo si arricchisce ulteriormente con la costruzione della torre campanaria, ardita opera di Mario Ceroli su disegno dell’architetto G. Fini; che domina sul villaggio con i suoi 24 metri di altezza, visibile da ogni prospettiva. Miracolo di ingegneria e insieme opera d’arte interamente realizzata in legno di pino di Russia è dotata di quattro campane in bronzo ognuna delle quali ha inciso il nome di un santo: Sant’Andrea, San Roberto, San Sebastiano e Santa Maria. Alla base un’antica pietra oggi fonte battesimale e all’interno della torre una tortuosa scala elicoidale, conosciuta come “Scala di Giacobbe” simbolo immaginario della elevazione spirituale, conoscitiva e morale dell’uomo. Un massiccio e nel contempo leggiadro vetro decorato da angeli policromi, sorregge la facciata della chiesa, impreziosita dal rosone in vetro di Murano composto da profili che si rincorrono fino a formare un tondo solare. Il sagrato della piazzetta della Leonina ridisegna la storia del papato da Pio XII, Giovanni XXIII, Giovanni Paolo I, Paolo VI, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI, ultimo profilo è quello di Madre Teresa di Calcutta.
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Mario Ceroli si cimenta ancora una volta con l’idea stessa del movimento, cercando di risolvere il paradosso teorico che vuole la scultura “fissa” e “immobile”, ma sempre tesa a scoprire come far evincere la mobilità insita nelle sue figure.
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Nel divenire dell’opera della chiesa nel 2017 si aggiunge alla cantoria sorretta dalle colonne portanti una delle sculture più celebri del maestro dedicata a quel vento maestrale che con tanto vigore schiaffeggia la facciata nord.
TEATRO MARIO CEROLI
Ispirato al teatro greco-romano ideato da Mario Ceroli e realizzato dagli architetti G. Fini e M. Sotgiu, sorge in asse alla chiesa di San Lorenzo, alla piazza San Marco e al porto. Il sogno del Teatro vide la luce quando il progetto della “città ideale” sul quale si stava completando Porto Rotondo, si concretizzò verso uno spazio concepito per l’arte. Il guscio esterno, caratterizzato da imponenti e simbolici altorilievi, immette in un contesto semicircolare costituito da gradinate che accolgono 700 persone e che idealmente abbracciano il palcoscenico, alle cui spalle un fondale che alterna vetro e muratura, crea una inaspettata dimensione prospettica.
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Ai lati altissime e dominanti colonne di granito richiamano alla mente la classicità riproposta anche esternamente sul tamburo con la sua simbologia classica per antonomasia: le tre porte di un teatro greco; l’obelisco, ovvero il sapere dell’antico Egitto.
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Il pendolo di Galileo Galilei, cioè tutta la scienza dell’Uomo, lo stesso uomo reso eterno dal bronzo e ritrovato nel mare di Riace, allora Magna Grecia oggi Calabria, contemporaneamente all’inizio della costruzione del teatro. Correva l’anno 1972.
SENTIERO DELL'ARTE
Era il 2007 e l’estro del giovane artista bretone Emmanuel Chapalain aveva già riscosso parecchio successo per la eccezionale creatività e l’audace accostamento di generi che lo portava a forgiare creature reali e surreali, utilizzando i più disparati materiali: alluminio, legno e più modesti materiali di riciclo. Lunghi soggiorni a Porto Rotondo gli valgono l’inclusione di pietre sarde tra i suoi materiali di lavoro e una felice intuizione: il mare e le sue creature e la similitudine con il destino dell’uomo che nel girotondo feroce di creature marine destinate all’ineluttabile rituale di Madre Natura in cui “pesce grande mangia pesce piccolo” Chapalain traduce freddamente in “Catena Alimentare”.
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Tutto ciò, in poco tempo renderà unica la Via del Molo. Gli occhi dei pesci, che si illuminano di notte, sono realizzati in vetro di Murano.
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L’ Artista realizza “street art” utilizzando: granito grezzo, arenaria gialla, porfido rosso, basalto grigio e, per le onde, sceglie il marmo di Orosei, introducendo anche il vetro di murano per gli occhi degli abitanti marini luminosi nella notte.
Squalo, pesce-martello, tonni e sardine, stelle marine e piccole conchiglie. Il mondo del mare è tutto qui dove cammini per raggiungere il porto a ricordare che questo è l’eterno fluire della Vita e che l’uomo non dovrebbe interrompere. Nel 2016, proseguendo nell’ideale progetto del “Sentiero dell’Arte” Emmanuel Chapalain realizza in Via Belli un mosaico pavimentale spettacolare e innovativo. Al centro, realizzato in acciaio, il raro capodoglio bianco avvistato da una squadra di sub nel Golfo di Arzachena nell’agosto del 2015. Chapalain facendo ricerche sul “Moby Dick” di Melville, scopre che ancor prima era stata individuata un’altra sconosciuta balena bianca, “Mocha Dick”, alla quale ha voluto dedicare la sua opera.
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Fuggono spaventati dalla bocca vorace del grande cetaceo leggiadri totani a conferma della feroce legge di madre natura.

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